la Rinascante a Roma - 1957
di
Andrea Vittoria Giovannini
A pochi giorni dalla V edizione di Milano Design Film Festival (19-22 ottobre), che presenterà in anteprima mondiale il documentario
Franco Albini. Uno sguardo leggero, mi trovo da Paola Albini nipote e vicepresidente della fondazione intitolata al nonno che con la sua attività si impegna a diffondere i messaggi sociali del maestro che ha creato un nuovo metodo progettuale nell’Architettura e nel design del XX secolo.
È una giornata gentile, dal cielo terso in una Milano luminosa che, ancora in ottobre, ci permette di dimenticare il cappotto e di indossare sandali aperti. Sono un po’ in ritardo e rinunciando alla bici mi tuffo in metro, nella linea rossa: la stessa che dal 1964 attraversa il cuore di Milano e per la cui realizzazione, all’epoca, gli stessi cittadini sottoscrissero con entusiasmo un prestito obbligazionario ventennale di 30 miliardi di lire. Ve lo immaginate accadere oggi? Un progetto firmato dallo studio Albini-Helg in collaborazione con Antonio Piva e Bob Noorda per la grafica, un progetto che lo stesso anno divenne compasso d’oro e fece storia! Ecco, non riesco a immaginare un modo migliore per parlare di design e con Paola partiamo proprio da qui, dal buon design.
“Credo che il buon design sia pensato e aderente al contesto sociale. Deve lanciare dei messaggi e soprattutto creare un prodotto funzionale che possa veramente servire alla vita delle persone. Ciò richiede pensiero e anche una sperimentazione che può essere lunga - Mi viene da pensare che la celebre
Luisa sulla quale sono seduta è frutto di 15 anni di lavoro! -
La sperimentazione non serve per trovare la forma, bensì per arrivare al concetto. Nel pensiero del nonno la forma nasceva dal bisogno cui vuoi dare una risposta. Oggi si vedono cose choc che vogliono stupire per stimolare l’emozione dell’attimo, ma che poi non resistono al tempo perché sono frutto della moda del momento.”
la poltroncina Luisa - 1939
Parlando di mode tuo nonno è stato coinvolto con l’inizio della ‘produzione di massa’ avendo progettato la Rinascente di Roma “Era uno dei primi grandi magazzini in Italia oltre che il primo edificio cieco, privo di finestre e rivestito da pannelli che rispondevano al suo metodo progettuale per cui disegnando ogni pezzo, studiando ogni singolo dettaglio si poteva poi comporre il tutto in una soluzione unica - da una scatola poco distante prende delle foto d’epoca in cui una nube di Fiat500 affolla Via Salaria -
Vedi, è fatta da questi pannelli disegnati singolarmente con un motivo che si intensifica andando verso l’alto. Il motivo è la funzione: far passare gli impianti che sono più numerosi ai piani alti. Quando Renzo Piano è venuto a lavorare qui dice di aver frequentato una scuola di pazienza dovendo disegnare centinaia di blocchetti della Rinascente! Ma da qui ha imparato un metodo ossia quello di scomporre l’architettura per verificarla profondamente e poi ricomporla.”
Quindi il messaggio è la chiarezza! “Non solo, nel linguaggio progettuale del nonno tutti gli elementi sono molto chiari e scomposti, questo ragionamento è nato negli anni 30 quando la produzione seriale era ancora lontana e il mondo borghese viveva di imbottiture. La chiarezza degli elementi, il voler catturare e mostrare l’anima degli oggetti faceva si che il dna venisse fuori. Oltre a questo senz’altro il principio della leggerezza, ben espressa nella libreria Veliero, un lavoro di sottrazione per arrivare al limite. In fondo il non sprecare nulla e utilizzare meno materiale possibile è profondamente legato al sociale: risparmiare risorse per poterne distribuire di più anche alle classi meno agiate, anche perché si stava entrando in guerra ed è proprio in quegli anni bui che crea i pezzi più leggeri. Tutto questo è il messaggio nella bottiglia che ho raccolto e che promuovo.”
la libreria Veliero - 1938
Oggi conosci molto bene il lavoro di tuo nonno e ne diffondi il profondo messaggio, ma la tua strada non è stata un proseguo naturale del suo, come mai questo riavvicinamento? “Hai presente quelle promesse fatte un po’ per caso? Beh, lavoravo in teatro ed ero a cena con un regista che conosceva molto bene l’opera di mio nonno e fu lui a farmi promettere che sarei andata alla ricerca delle mie radici. Da lì in realtà ho continuato il mio lavoro, fino a quando nel 2006 Renzo Piano ha curato una mostra in triennale per il centenario della nascita del nonno e lì ho realizzato delle interviste a tutti i personaggi legati al suo lavoro. Attraverso quei racconti sono rimasta colpita dalla sua eredità intellettuale e dal fatto che tutti si riferissero al suo insegnamento come una scuola di metodo e soprattutto di vita. Con lui passavi necessariamente attraverso l’azione e la ricerca del perché delle cose, che non è così scontato! Spesso facciamo ciò che ci viene chiesto di fare o semplicemente agiamo in un modo solo perché si fa così. Ma perché lo stai facendo? Ecco questa era la domanda che rivolgeva a tutti i suoi studenti specialmente se consegnavano un progetto discutibile. Non si sarebbe mai permesso di dire che era una schifezza ma col ragionamento voleva arrivare a capire cosa ci fosse dietro a quel progetto. C’è una sua frase che per me è diventata un mantra “Più dalle nostre opere che diffondiamo delle idee che non attraverso noi stessi” e mi ha spinto a voler conoscere lui attraverso la sua eredità e la sua etica. Ho trovato un mondo importante da recuperare e l’urgenza di trasmetterlo, io non sono una designer o un architetto, probabilmente ho un istinto innato per alcuni oggetti ma ciò che desidero è divulgare questi principi.”
A questo proposito quali sono le attività più importanti della fondazione? “Ovviamente ci sono le visite, sia guidate che libere, in cui si può esplorare lo studio. Generalmente cerchiamo sempre di stabilire un contatto umano così da poter raccontare davvero la storia di questo luogo per far capire qual è stata l’origine di questi progetti. Le storie vengono raccontate in linguaggi diversi e il mio pallino è quello del teatro che favorisce un’immedesimazione più profonda. Sempre per il principio della cooperazione sto creando un gruppo che ha come finalità il tema del sociale coinvolgendo professionisti e associazioni, siamo ancora in brainstorming ma l’intento è di migliorare la vivibilità attorno a noi e dare risposte che a volte le istituzioni tardano a dare. Chiaramente ci sono gli eventi dedicati anche ai più giovani o quelli più istituzionali come le mostre e le pubblicazioni per valorizzare l’archivio che è vastissimo. Nel 2018 partirà un progetto di orientamento per i ragazzi dagli 11 anni in poi, un’età delicata in cui magari aiutare i ragazzi a fare un lavoro su se stessi partendo dal principio di missione sociale che aveva il nonno: questo può aiutare i giovani a identificare le loro passioni, collegarle ai loro talenti e magari trovare un valido spunto per gettare le basi di una futura professione. Mi piacerebbe in fine realizzare un documentario di queste esperienze straordinarie con i ragazzi, perché per noi adulti ascoltare i pensieri dei più giovani è sempre più utile.”
I contemporanei di tuo nonno parlavano molto di futuro, noi oggi siamo più preoccupati del qui ed ora, se pensi al futuro cosa ti piacerebbe vedere? “Sono convinta che siamo vicini a un’inversione di tendenza: questa autoreferenzialità è arrivata al capolinea! Credo che adesso la gente si renda conto che deve tornare a fare delle cose insieme, condividere le idee e ampliare le visioni per coinvolgere sempre più persone. Per questo spero nella rinascita delle relazioni: le rivoluzioni si fanno sempre insieme. Abbiamo enormi possibilità e per usarle al meglio è importante lavorare su di se prima e poi mettersi in un gruppo perché nel mio mondo ideale tutti dovrebbero fare ciò che sono nati per fare senza influenze familiari o sociali. Se le persone sono smosse e sensibilizzate possono fare tantissimo!”
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